Il nostro ricordo di Paolo Pietrangeli
Se ne va Paolo Pietrangeli, cantautore, sceneggiatore e regista da sempre impegnato nella politica. La sua “Contessa” è stata un vero e proprio inno di protesta.
Ci lascia Paolo Pietrangeli, personaggio imprescindibile della canzone di politica e di protesta, morto a 76 anni.
A coronazione del suo lungo e impegnato percorso discografico, ad ottobre 2021 aveva ricevuto il premio Tenco alla carriera, che non ha potuto ritirare personalmente proprio a causa delle sue condizioni di salute.
Entrato a far parte già nel 1966 del Nuovo Canzoniere Italiano, il gruppo di artisti e studiosi dedito alla riscoperta del canto popolare e di protesta, Paolo Pietrangeli diventa uno dei simboli del ‘68 grazie soprattutto ai suoi brani “Valle Giulia” e “Contessa”, indissolubilmente legati alle vicende del movimento studentesco e operaio.
Da questo momento la sua carriera si legherà anche ai Dischi Del Sole, di cui diventerà uno degli artisti più noti e rappresentativi, e con i quale pubblicherà i suoi primi cinque album: “Mio caro padrone domani ti sparo” (1969), “Karlmarxstrasse” (1974), “I cavalli di Troia” (1975), “Lo sconforto” (1976) e “Cascami” (1979).
Toni Verona, presidente di Ala Bianca, su Paolo Pietrangeli
Con Paolo abbiamo sempre lavorato su ciò che ci piaceva e per più di trent’anni, incuranti dei risultati nel mercato…
Il primo suo disco che pubblicammo come Ala Bianca fu, nel 1988, “Tarzan e le sirene”. A seguire ci furono le ristampe dei suoi sei album della collana ‘I Dischi del Sole’ (tra i quali “Mio caro padrone-Contessa”). E poi “Noi, i ragazzi del coro”, “Antologia”, “Paolo e Rita” (con Rita Marcotulli) ed il recentissimo, solo in vinile “Amore Amore Amore, Amore un c…”, una raccolta delle sue canzoni d’amore con il divertente, ironico brano inedito che dà il titolo all’album, pubblicato soltanto in vinile perché, come mi disse lui, “finisco da dove ho iniziato”.
Paolo era una bella persona, di quelle che si è fortunati ad incontrare nella vita… un amico di quelli che ti fanno favori senza chiedere nulla in cambio.
Spero sia sereno. Anche se un po’ incazzato perché l’hanno costretto ad andarsene…
Autobiografia
Sono Paolo Pietrangeli e sono nato tantissimi anni fa grazie a un padre, Antonio, che ha sempre fatto lo sceneggiatore e il regista incomparabilmente più bravo di me.
È grazie a lui che ho imparato alcune cose fondamentali come la passione per la lettura, la dedizione al lavoro, e la voglia, anzi l’urgenza di raccontare. Raccontare comunque e con ogni mezzo di cui riuscivo ad appropriarmi.
Da sempre ho fatto l’aiuto regista prima e poi il regista dal lunedì al venerdì e il cantastorie i fine settimana.
Da sempre, cioè da più di cinquant’anni, dopo il colpo di fortuna che mi ha portato, studente tra gli studenti, a scrivere alcune canzoni che sono diventate la colonna sonora della fine degli anni sessanta. Senza dischi, senza radio, senza TV ma grazie solo alla tradizione orale, al passa parola da bocca a bocca, da persona a persona, canzoni come “Contessa“, “Rossini“, “Valle Giulia“ mi hanno convinto a continuare e piano piano ho registrato sedici tra LP e Cd e ho realizzato e diretto quattro film ed una serie sterminata di documentari: da “Bianco e nero” a “Genova. Per noi“, sui fatti di Genova del 2001, a “Ignazio“, una lettera filmata a mio figlio che cerca di raccontare questi quaranta anni della nostra vita.
E poi la televisione che ancora faccio e che continua a darmi la possibilità di raccontare attraverso le facce delle persone che appaiono sulle mie telecamere e a concedermi la libertà di scrivere musica come voglio io e con chi voglio e, adesso, questo non è poco.
Paolo Pietrangeli
Alessandro Portelli parla di Paolo Pietrangeli e del suo ultimo disco
C’era una battuta, un tempo spiritosa, poi diventata un po’ avvizzita per il troppo uso. Diceva: “sono marxista – tendenza Groucho, non Karl”. Ora, Paolo Pietrangeli è una delle pochissime persone che conosco che sono capaci non solo di giocare in tutte e due le tendenze, ma di farle interagire fra loro, di mettersi la maschera di Groucho per agitare sullo sfondo il fantasma di Karl. E parlo di maschera anche perché il gioco di parole, l’umorismo, l’autoironia, l’irriverenza gli servono, come una forma di pudore, a proteggere la profondità delle sue passioni concrete. Per capirsi: per poter parlare d’amore, come in tante sue canzoni, bisogna cominciare dicendo “amore un cazzo”. Amore, amore, amore – che imbarazzo!
Io mi sono entusiasmato per Rossini, per Contessa, per Uguaglianza. Ma mi sono innamorato delle canzoni di Paolo Pietrangeli grazie alla prima parola dello Stracchino – “Avendo…” Solo uno che ha fatto il travet, l’impiegato di concetto, tutta la vita, comincia una storia con un gerundio – e passa tutta la vita guardando un cielo che non toccherà mai. Oppure esplorando l’ambiguità, in un’altra canzone, di quelle “verità piegate in tasca” – verità precostituite pret-a-porter, o verità talmente intime e preziose che si possono solo ripiegare e nascondere perché non vengano violate?
Questo sorprendente regalo in forma di vinile è un’esplorazione sulle origini di questa poetica. A me viene in mente il Bruce Springsteen che sul palco di Broadway infila una ghirlanda di canzoni per raccontarci come è diventato se stesso. La differenza è che Springsteen si mette a nudo, Paolo si scopre, si nasconde, si lascia intravedere, ci manda su sentieri senza uscita e poi ci riprende per mano e ci riporta qui… Tutti e due, comunque, cominciano dal padre – il bambino seduto al volante in giro per my hometown, il bambino che impara a parlare e a guardare vedendo passare davanti ai suoi occhi infantili la spina dorsale del cinema italiano in un tempo in cui valeva la pena. Qui impara il gusto per le catene verbali, le rime straniate, le filastrocche, le figure familiari (la portiera, il cameriere…) svisate in surrealismi felliniani. Perché quello era un cinema visionario, e un bambino che se lo vede passare per casa impara anche a non smettere mai di andare a caccia di sirene.
Ha cantato: “Io vorrei che questa filastrocca che m’è uscita dalla bocca fosse intesa come vituperio e offesa…” Vituperio e offesa sparati giocando a chi ha sparato addosso alle speranze, ai sogni, alla felicità, forse a una rivoluzione che non si potesse fare senza giocare. Piangeva ridendo la fine di una visione e di “una situazione”. Ma in un’altra canzone che qui non c’è, scritta in questi tempi pessimisti, dice: l’alba si confonde col tramonto, non sappiamo mai se è la fine o un inizio nuovo. Ma la storia non è finita, “tornerà a soffiare il vento”, dice, dialogando con il Bob Dylan dei tempi migliori. Allora, volevamo dare l’assalto al cielo. Quel cielo, da allora a oggi, s’è alquanto avvizzito. Ma Paolo Pietrangeli ci aiuta a immaginare ancora di toccarlo con un dito. E chissà che alla fine non ci si riesca.
Alessandro Portelli